Insetti della mente
Estratto
Ricordo colonne nere rigare il terreno, ricognizioni dall’alto con truci occhi d’avvoltoio, individuare il corso della vita e escogitare il modo di spezzarlo con assalti ripetuti dal mattino scintillante al vespero rutilante. Mio cugino e io, decenni, soldati di una guerra inutile, quale pretesto la sfida degli esseri più numerosi che proliferavano lì dove pretendevamo d’essere i soli regolatori del creato. Una volta assaltavamo villaggi nativi tra la gramigna, avventurieri di un esercito coloniale, spazzavamo accampamenti circolari, massacravamo formiche rosse o pellirosse. Osservavamo le antenne rosse o gli addomi acciaccati e neri asciugare al sole giovane della primavera texana o a quello spietato dell’estate africana. Colpivamo con l’indice il terreno e, con il dolore che ci arrecava picchiettare sulla ghiaia, stilavamo il computo delle nostre perdite giornaliere. Con il dito gonfio ci stringevamo alla sera le mani, solidali nel rimandare l’ultima carica alla prima dell’indomani.
Poi un giorno, mentre ci rincorriamo tra l’erba, colpiamo il tronco d’un mandorlo ritorto. Dalle arterie d’un ramo secco e monco escono frotte di formiche di un colore scuro brillante. Siamo costretti temporaneamente a ripiegare, sorpresi dal numero preponderante. Concordato un piano di battaglia, ci avviciniamo lentamente e cominciamo a eliminare le sentinelle sulle torri della fortezza con colpi precisi di carabina, come cecchini che, avendo un lungo esercizio del loro mestiere, non contano più le vittime, ma il tempo che queste impiegano a cadere. Un colpo solo non è più sufficiente ad arginare la piena d’insetti che erompe dai canali del legno come da altrettante trincee. Così si moltiplicano le armi e le dita: doppietta con indice e medio, mitraglia dall’indice al mignolo; quando schiocca il palmo sul legno ruvido, il polso sussulta, la gola ha un’eco e un singulto: è caduta la bomba. Sangue aromatizzato dall’essenza dell’albero rinfresca mani peste da ore di assalti alla baionetta, da lunghe giornate passate a ponderare sul da farsi, alla soluzione migliore per vincere la battaglia e chiudere la guerra ché il caldo monta e si è sempre più stanchi. Previsioni ottimistiche sfioriscono con la stagione di sangue. Scaramucce in autunno tra compiti e scuola, vuoto e freddo inverno a interrogarsi sulle forze del nemico, sull’esito del conflitto infinito. A trovarsi attaccati d’improvviso nei tepori della propria casa, a esser derubati delle briciole del pranzo di Natale cadute sotto il tavolo; a inseguire e finire gli invasori, a colpire con il polpastrello lo spigolo del termosifone e morirne per l’offesa e il dolore. Gorgheggi d’uccelli, alberi in fiore: la primavera è tornata leggiadra, ma per me e mio cugino essa significa attuare la promessa di morte a lungo meditata. Di nuovo scuotiamo a calci il tronco e ci abbassiamo nelle nostre postazioni per logorarci in serie infinite di cariche e ritirate. Le formiche astute hanno imparato a riconoscere i colpi con i quali usiamo cavarle dal tronco e escono più di rado. Talvolta mandano delle unità volanti in perlustrazione che noi prontamente abbattiamo con la contraerea delle mani o spruzzando in aria l’insetticida sottratto alla zia. Tossiamo via il veleno e giuriamo di non servirci più di questa subdola arma tossica che “fa vittime” anche tra le nostre “fila”. Il formicaio s’approvvigiona dai campi circostanti. Sovente gli assediati tentano un assalto in forze per distrarci, mentre le operaie fanno capolino dalle uscite secondarie al prezzo di centinaia di corpuscoli sfracellati che esplodono della linfa di cui si sono satollati in aromi inebrianti di morte, ammonticchiati gli uni sugli altri nelle pieghe del tronco chiazzato di licheni. Noialtri fanciulli imprimiamo lo scempio in occhi arrossati dal sole e inorgogliamo, sebbene nelle nostre menti si dilati il sospetto che, a dispetto del numero minore di formiche inviato a contrastarci, nel cuore del legno si stia armando un esercito più numeroso e che un altro anno non basterà per espugnare il forte. Autunno: la legna scoppietta nel camino, il latte caglia, s’arrostiscono i peperoni, il grasso del maiale sfrigola, si imbotta il vino. Il mandorlo è vecchio e sbilenco. Arriva dall’alto, da mio padre, il comando d’attacco tanto atteso. Mio cugino e io impugniamo la sega e recidiamo il tronco tra una carica e l’altra dei difensori che hanno presagito il loro potere finito. Crudeli, accendiamo un fuoco di foglie secche senza dover più temere che la fiamma s’espanda alle sterpaglie estive. Dirigiamo la vampa a strinare le schiere nemiche di morte istantanea. Alcuni insetti appena bruciacchiati si contorcono nei canali della scorza, scossa dal ruggito della lama, e vengono lì inchiodati da raffiche di mitraglia. La base del mandorlo si spacca. Con un calcio viene finalmente divelta. Un fiume di invertebrati ci sommerge con una carica disperata. Il fuoco consolida il proprio dominio. Ecco la formica regina! A mio cugino l’onore, a patto che la spacci con un sol colpo di fucile che egli non fallisce. La fiamma divampa, la corteccia annerisce. Bruciano le antenne e le zampine crepitanti. Tra i trucioli del legno scopriamo le uova. Decidiamo di distruggerle per non dover combattere una nuova generazione di imenotteri. Alla sera l’albero è stato sezionato, qualunque essere l’abbia abitato, ammazzato e bruciato. Le formiche sono cenere. Il castello è conquistato. Serti di fumo bianco e azzurrino confluiscono nel crepuscolo ottobrino, velato di nubi leggere, a segnalare i resti del campo di battaglia. Esausti, i due cugini si guardano a tratti, si scambiano un sorriso compiaciuto, il loro legame suggellato da uno sforzo congiunto e prolungato, da un dolore condiviso, dal pericolo passato. Eppure una domanda s’affaccia dai loro sguardi trasognati alla placida memoria, smorza squilli di tromba e inni di gloria: vale aver annientato l’enorme potenza creatrice del minuscolo nemico per acquisire al contempo coscienza del peccato perpetrato; d’aver arbitrariamente vulnerato l’equilibrio e la magnificenza del creato; afferrare per contro l’essenza dell’uomo dopo cruda e silenziosa riflessione, commisurare la sua grandezza alla capacità di distruzione?
- 88 pagine
- Brossura
- EAN: 9788874333202
- Prezzo: 8,00 €
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